Se vi sembra poco …

Nemmeno le profondita’ degli abissi del Mediterraneo sono sufficientemente remote per sfuggire all’impatto dell’uomo, a partire dall’immondizia.

“Anche a mille, duemila metri di profondita’, e’ comune vedere buste e piatti di plastica” afferma Roberto Danovaro, dell’Universita’ Politecnica delle Marche, tra i 360 studiosi di tutto il mondo impegnati nel Census of marine Life (Coml), un progetto che negli ultimi dieci anni ha censito 230mila diverse specie nelle
25 aree studiate. Tra queste anche il Mediterraneo, considerato il piu’ a rischio per la perdita di biodiversita’.
La minaccia deriva da una concentrazione di diversi fattori. “Innanzitutto pesa la pesca eccessiva – spiega Danovaro – e poi la contaminazione, di varia natura, dalle plastiche all’inquinamento da pesticidi e altri composti tossici”.
Sostanze chimiche, come il mercurio, sono presenti in quantita’ superiori rispetto agli altri mari del Pianeta. “Si tratta di un pericolo per organismi che vivono nelle acque profonde -aggiunge lo studioso – come il “pescecane portoghese”, una specie di squalo che abita nel Mediterraneo fra gli 800 e i 3.500 metri e quindi non subisce facilmente contaminazioni dalla superficie”.
Eppure nemmeno questo animale e’ scampato alle sostanze chimiche. “Questa specie esiste anche in Giappone, nell’Atlantico – spiega Danovaro – e quindi e’ stato possibile fare un confronto nelle analisi di questi animali: la contaminazione nel Mediterraneo non ha eguali nel mondo”. Altro fattore di grande preoccupazione per gli scienziati sono i cambiamenti climatici.
“Il Mediterraneo e’ la regione, insieme all’Artico – continua l’esperto – dove il riscaldamento dell’acqua non ha precedentiper la sua rapidita’. Dal ’90 ad oggi, il tasso di riscaldamento e’ raddoppiato”. Un’impennata della velocita’ che ha riguardato anche le acque profonde. Non e’ importante solo per le specie
che vi abitano, ma per lo scambio termico a livello di bacino”,che influenza tutte le dinamiche del clima della regione del Mediterraneo. Fra le immondizie ritrovate nei fondali fra i 194 metri e i 4.614 metri di profondita’, nell’area fra il Golfo di Taranto, Siria e Cipro, i frammenti di vernici sono stati i piu’
comuni (44%), seguiti dalle plastiche (36%). “Il problema delle vernici lo affronteremo per lungo tempo –
spiega Danovaro – visto che fino ad oggi hanno contenuto il TBT, lo “stagno tributile”, ora vietato in Italia. Questa sostanza causa il cambio del sesso di organismi come le lumache di mare,
dove le femmine perdono la loro fertilita’. Pensavamo fosse un problema limitato alle aree portuali – conclude lo scienziato – ma potrebbe essere un problema anche per gli abissi”.

Banco di Santa Croce, il mare vive a dispetto dell’inquinamento

In Costiera Sorrentina, alla foce del Fiume Sarno, il più inquinato d’Europa

Uno straordinario paradiso sommerso, che ospita un concentrato di pesci, il famoso corallo rosso del Mediterraneo, spugne e gorgonie, a pochi chilometri dalla foce di un fiume che soffre per la presenza di veleni sversati da concerie e insediamenti industriali. Questo miracolo della natura si chiama Banco di Santa Croce e si trova alle porte della famosa costiera sorrentina.

“Si tratta di una miniera di biodiversita’ – spiega Valerio Zupo, ricercatore della Stazione zoologica “Anton Dohrn” di Napoli – stranamente collocata vicino ad una delle aree piu’ inquinate d’Europa, la foce del fiume Sarno in Campania, ricca di nutrienti organici ma anche di fanghi tossici, nonostante i tentativi di ripristino dell’equilibrio ecologico”. Come avviene il “miracolo”? “Grazie ad una particolarissima combinazione di correnti, – afferma l’esperto – la maggior parte degli inquinanti precipita alla foce, mentre quella che
galleggia viene spinta al largo. A rimanere sono i nutrienti organici, che innescano la rete trofica locale e danno nutrimento a forme di vita: fra pesci e piante, abbiamo classificato poco meno di duemila specie”. La sua “fortuna” e’ che non e’ visibile dall’esterno, anche se i pescatori locali la conoscono bene.
“In dialetto – precisa Zupo – il Banco veniva chiamato “caurarusso”, che significa “calderone”, una specie di grosso pentolone: all’esterno infatti e’ costituito da una serie di guglie rocciose, disposte in circolo, con al centro una depressione di oltre 40 metri, mentre la guglia piu’ alta e’ a 11 metri di profondita’: per questo non si vede dall’esterno”.
Dalla sfolgorante gorgonia rossa, la “Paramunicea Clavata, fino al “Corallium Rubrum”, il corallo rosso gia’ raro nell’intero Mediterraneo, fino al falso corallo nero, “Gerardia Savaglia”, sono queste alcune delle forme di vita che popolano questo specchio d’acqua. “Il Banco di Santa Croce – precisa Zupo – e’ ancora ricco di ‘filtratori’, cioe’ microrganismi che filtrano l’acqua, come le gorgonie, soprattutto di specie ‘Eunicella’, di
vari colori: se ne trovano di rosse, bianche e gialle, a varie profondita’. Poi si trovano spugne ‘incrostanti’, generalmente di colore marrone e che prendono la forma della roccia”. Qui abitano anche pesci e crostacei. “Non mancano gamberoni, aragoste e polpi, – spiega l’esperto – ma anche pesci, come cernie, scorfani, saraghi, tagri e tordi verdi. Le cernie raggiungono dimensioni notevoli, anche di decine di kg: di fatto dal Banco arriva il pesce che viene catturato nelle zone circostanti. Secondo una simulazione al computer di qualche anno fa, la produzione e’ simile a quella di un impianto di acquacoltura molto efficiente”.
Su proposta dell’associazione Marevivo, l’area e’ gia’ da tempo zona di tutela biologica e quindi e’ vietata, nel raggio di 300 metri, qualsiasi attivita’ di pesca, sia professionale sia sportiva. Con la cessione del demanio marittimo alle Provincie e quindi ai comuni interessati, “Marevivo – spiega Rosalba Giugni, presidente dell’associazione – in collaborazione con il comune di Vico Equense, vuole istituire un’oasi per tutelare e monitorare l’area del Banco di Santa Croce. L’idea e’ quella di effettuare tutte le operazioni di tutela e monitoraggio con la divisione sub dell’associazione, in collaborazione con la Protezione Civile e i gruppi di volontari locali, ma anche tramite l’uso di telecamere webcam, per controllare infrazioni ai divieti”. Secondo Zupo infatti “una maggiore azione di controllo sarebbe utile per preservare quello che c’e’ ancora”. Purtroppo la zona subisce anche qualche danno causato dall’aumento delle temperature del Mediterraneo, “con una moria di microrganismi e l’arrivo di mucillagini. Ma una vera e propria calamita’ naturale e’ la malattia delle gorgonie del Tirreno: i polpi cominciano a morire e rimane solo lo scheletro”.

Il veliero dei delfini

Il Veliero dei Delfini è una campagna realizzata in stretta collaborazione e con il sostegno della Direzione Protezione Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e con il supporto del Comando Generale delle Capitanerie di Porto.

Parte da Genova il 24 giugno 2008 la sesta edizione del Veliero dei Delfini: una imbarcazione con a bordo uno staff di giovani biologi a difesa del mare e dei suoi abitanti. L’iniziativa è portata avanti dal CTS ambiente, un associazione nazionale senza fini di lucro riconosciuta dal Ministero delle Politiche Sociali tra le associazioni nazionali di promozione sociale e dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio come associazione ambientalista.

L’imbarcazione, attrezzata per la ricerca in mare, nell’arco di 50 giorni toccherà le principali marinerie italiane, in particolare le aree protette con l’obiettivo di: informare e sensibilizzare il grande pubblico (turisti, residenti, sub, velisti, pescatori) circa l’importanza della salvaguardia dei cetacei e della biodiversità in generale.

Promuovere il ruolo strategico del sistema dei Parchi e delle Aree Marine Protette italiane nel Mediterraneo e incentivare iniziative di turismo legate all’osservazione dei cetacei in libertà (whale-watching), nel pieno rispetto anche del loro habitat.

Studiare soluzioni innovative per la riduzione delle interazioni tra i cetacei e le attività di pesca, promuovendo forme di pesca responsabile ed evidenziare i fattori che minacciano la sopravvivenza dei cetacei e delle altre specie a rischio nei nostri mari. In questa sesta edizione obiettivo prioritario della spedizione, sarà anche quello di divulgare l’iniziativa IUCN “Countdown 2010” contro la perdita della biodiversità.

Sarà interesse della campagna, quindi, eseguire un check-up anche sui principali indicatori della fauna marina mediterranea: tartarughe, squali, avifauna e specie aliene provenienti dai mari tropicali.

www.ilvelierodeidelfini.it

Europa, vela senza barriere

Presentato oggi al Parlamento Europeo il Manifesto Europeo della Vela Solidale, un importante passo avanti per il riconoscimento di questa disciplina quale elemento di educazione, recupero, coinvolgimento e reinserimento nel sociale, di tutti coloro che vivono nelle diverse abilità.

Mauro Pandimiglio Presidente di Handy Cup è stato ricevuto al Parlamento Europeo grazie all’iniziativa dell’On. Giovanni Berlinguer , insieme ad altre
associazioni analoghe, che operano in Europa, per la presentazione del Manifesto Europeo della Vela Solidale. L’On. Berliguer , avendo constatato gli effetti positivi dell’attività velica quale strumento di intervento nelle varie aree del disagio, sociale, fisico, mentale, ha portato la sua testimonianza “ Le vostre esperienze mostrano un modo innovativo di superare le difficoltà del disagio. Sono qui per ascoltarle ed esserne portavoce presso il Parlamento Europeo” . Per il Ministro Giovanna Melandri che aderisce al Manifesto ” la navigazione a vela rappresenta uno strumento straordinario di formazione, integrazione ed inclusione sociale”.

“ Il Manifesto è lo strumento più efficace per portare alla luce di Istituzioni e politici il tema dell’integrazione sociale in tutte le sue forme” ha affermato Olga D’Antona. Serena Battimelli, Presidente del tribunale per i minorenni di Napoli ha portato una interessante testimonianza : “ I nostri ragazzi hanno vissuto in barca un’esperienza forte: il senso di libertà, di cui sono privati perchè in
detenzione e il senso del dovere dato in questo caso dalle regole di bordo. I minori che hanno partecipato al progetto hanno riassunto la loro esperienza in una frase :la vita è bella e non si deve buttare” .

Illuminante l’affermazione di Katharina Lent, ragazza tedesca disabile “ Problemi di movimento e di lingua dopo pochi giorni diventano irrilevanti. Contano solo
la natura e il gruppo “.

Mauro Pandimiglio che dal 2000 si occupa di sociale, in particolare dell’utilizzo della vela in questo ambito presiede e coordina i percorsi educativi e riabilitativi di Handy Cup ha reso noti alcuni numeri relativi a questa attività : “7 edizioni della regata hanno coivolto 50 associazioni di volontariato, 100 barche,1000 partecipanti e 150.000 cittadini”. Per Pandimiglio “la condivisione di alcune mète importanti come l’inclusione sociale, l’aspettativa per una migliore qualità della vita e certe rotte complesse e difficili dei percorsi rieducativi e riabilitativi, ci
hanno fatto ritrovare con un principio comune: siamo tutti sulla stessa barca”.

All’iniziativa erano inoltre presenti le parlamentari europee Lilly Gruber, Pia Locatelli della commissione affari sociali, la greca Tzampazi e l’onorevole
irlandese De Brun.

Repubblica Marinara, la nuova sfida italiana all’America’s Cup in nome dell’ambiente

 Repubblica Marinara, la Sfida popolare italiana all’America’s Cup”. L’annuncio arriva a sorpresa nell’ultimo giorno di regate della Louis Vuitton Cup di Valencia, in Spagna, che segna l’uscita di scena di
Luna Rossa, sconfitta da New Zealand con un secco 5 a 0. Le agenzie di stampa battono i titoli: “Lanciata nuova sfida italiana: Repubblica Marinara”, (APCom);
” Una sottoscrizione per una nuova sfida italiana”,(ADNKronos); “Nuova sfida italiana parte da Valencia”, (Ansa).

L’annuncio crea un certo stupore nell’ambiente e soprattutto molta curiosità perchè giunge inaspettato attraverso un sito internet (www.repubblicamarinara.it) che si propone nientemeno che di mettere insieme gli appassionati italiani, chiedendo loro una sottoscrizione; mentre il quotidiano La Repubblica (venerdì 8 giugno) aggiunge nelle pagine sportive che il team manager della sfida potrebbe essere addirittura Francesco De Angelis, lo skipper di Luna Rossa.
Ce n’è abbastanza per far saltare sulla sedia più di un addetto ai lavori.

Eppure nessuno sa chi c’è dietro questa sfida, di quali capitali disponga, come vuole agire e come eventualmente intenderebbe gestire il denaro che chiede in affidamento agli italiani. Sul sito internet della sedicente Repubblica Marinara si legge di un programma che è in fondo condivisibile, il quale non ha esclusivamente la vela in primo piano, ma si propone obiettivi anche più ambiziosi, come l’ambiente e la sua protezione, la ricerca di uno sviluppo compatibile con il nostro ecosistema non più sfruttabile all’infinito. Gli ideatori di questa “Sfida popolare”, che si fonda sul contributo anche di un 1 solo euro, intendono insomma usare la Coppa America come palcoscenico per la questione ambientale, riuscendo magari a portare davvero il Trofeo in Italia, per sensibilizzare i connazionali alla difesa del loro Belpaese e dell’universo intero. Vasto programma.

Eppure proprio in Italia a qualcuno non è sfuggita la portata della questione: “Un’ottima idea
per promuovere nel mondo le doti migliori del nostro Paese, quel mix tra natura, cultura, talenti e capacità di innovare che fa grande l’Italia nel mondo”, scrive il deputato dell’Ulivo Ermete Realacci, ambientalista della prima ora, eletto peraltro nel collegio della “Repubblica Marinara” di Pisa, tra i primi firmatari della “Sfida”. Ma, insomma, chi c’è dietro questa iniziativa che già fa gola alla politica? Sul solito sito (www.repubblicamarinara.it) si legge di un giornalista e di un fisico dell’atmosfera, nucleo primordiale del comitato promotore: abbiamo parlato proprio con quest’ultimo, il fisico, che risponde al nome di Carlo Buontempo e che lavora in Gran Bretagna, presso l’ufficio metereologico nazionale, l’UK Meteo Office. Un emigrante di talento, insomma. Lo abbiamo intervistato.

 

Dr. Buontempo, ma davvero crede che gli italiani siano disposti a sposare la sua idea? In questo paese ci sono gli steccati ideologici, le contrapposizioni… Coppi e Bartali… Mica è facile mettere d’accordo gli italiani.

“Io credo che il futuro debba essere preoccupazione di tutti, senza distinzioni di sorta. E’ vero che qui parliamo in fondo di una Sfida di vela, di Coppa America, ma sotto sotto intendiano lanciare una sfida ben più importante che è quella del clima, di un mutamento che è oramai sotto gli occhi di tutti, non solo degli scienziati o dei “fanatici” ambientalisti. E che non puo’ più essere sottovalutato”.
Lei ha ulteriori elementi di prova sui mutamenti climatici?
“Non occorre essere degli scienziati per rendersi conto di quanto sta accadendo: basta leggersi per esempio l’ultimo assestement report del IPCC, il Comitato Internazionale per i Cambiamenti Climatici (www.ipcc.ch) per rendersene conto. Il clima del nostro pianeta cambia e noi ne siamo largamente responsabili. Una sintesi la può trovare anche a quest’altro indirizzo internet: Metoffice.gov.uk.
Ma vuole un dato su tutti? Sei dei sette anni piu’ caldi in assoluto, in termini di temperatura media superficiale del pianeta (http://data.giss.nasa.gov/gistemp/2005/), compreso il 2006, sono stati registrati dal 2001. Mentre i dieci anni più caldi della storia si contano tutti a partire dal 1995… (Per dati piu’ aggiornati il lettore puo’ visitare (http://www.ncdc.noaa.gov/oa/climate/research/2007/apr/global.html).
Se poi, invece, vogliamo restare al tema della Coppa America, guardi allora come sono iniziate le regate a Valencia: giorni e giorni di bonaccia totale, completa assenza di vento. Le sembra normale?”.

E in che modo contate di risolvere la questione?

“Risolverla non è certamente alla nostra portata: non la risolviamo delegandola ad una regata. Però contiamo di amplificare il problema, di sensibilizzare l’opinione pubblica per dirottarla, diciamo così, sulle questioni che ci riguardano da vicino, entusiasmandola però con
i risultati di Coppa America. In Italia c’è un pubblico numeroso e molto appassionato e vorremmo che tifasse per la sua “Repubblica”, per il suo habitat, per il bene del suo paese e del pianeta se me lo lascia dire”.
Ma avete un’idea sull’equipaggio, sulla barca sui finanziamenti necessari?

“Io rappresento con i miei amici solo l’embrione della questione. E’ chiaro che tutto deve ancora essere costruito. Ma questo è il momento di farlo perchè, finita questa edizione della Coppa, a Valencia, sul campo, rimangono molte illusioni perdute che potremmo raccogliere per indirizzarle sul progetto di Repubblica Marinara: sul mercato ci sono barche di primo piano da poter acquistare e uomini di grande talento, che sono tutt’ora senza “casacca”. C’è per esempio l’americano Paul Cayard, l’indimenticabile skipper del Moro di Venezia, innamorato dell’Italia e ben a conoscenza del nostro progetto, che ha molto apprezzato. E c’è poi il Sig. Coppa America in persona, il neozelandese Roussel Coutts, che dopo il divorzio da Alinghi è ancora a terra senza barca. E non credo che vi resterà a lungo. Certo, si tratta di sogni, perchè occorrono molti soldi per ingaggiare professionisti di questo livello, ma gli italiani sono capaci di tutto, ed è per questo che ci rivolgiamo a loro”.
E di italiani, a bordo?

“Sarebbe semplicemente fantastico poter attingere a piene mani dal talento tutto italiano di Francesco de Angelis, per esempio, qualora Luna Rossa abbandonasse la scena, per affiancargli i tanti giovani campioni italiani ancora sconosciuti o poco noti, a cominciare dal timoniere, che vorremmo fosse Gabrio Zandonà: un campione del mondo e d’Europa. Vi piacerebbe, per cominciare?”.

E con quali garanzie gli italiani dovrebbero affidarvi anche un solo euro?

Quello di una figura di garanzia è problema che ci siamo posti da subito, abbiamo contattato qualcuno e siamo in attesa di risposte. Potrebbe essere un italiano di successo, una persona nota, al di sopra delle parti, ma anche una figura più istituzionale, un uomo di riconosciuta personalità e di specchiato valore.

Chi gestirebbe il denaro?

Un istituto di credito, il più popolare possibile, magari anche le Poste.
Ed i suoi soci in questa impresa chi sono?

Due appassionati velisti come me: un amico giornalista che ha lanciato l’amo, se così possiamo dire, che ha avuto la “brillante” idea, ed un altro amico fotografo, che ha subito risposto positivamente. Per il momento preferiscono restare nell’anonimato, sconosciuti al grande pubblico, anche se l’ambiente della vela li conosce bene.
Non pensate di aver bisogno di un “testimonial”, qualcuno che vi aiuti ad uscire all’anonimato?

Altrochè! Aspettiamo proposte. Ma vorremmo qualcuno che davvero rappresenti l’idea, che so… un Peter Black italiano se fosse possibile, un uomo di mare davvero impegnato sui temi ambientali come fu per lo scomparso neozelandese, che non solo portò i kiwi a vincere la Coppa America, ma raccolse anche l’eredità di Jaques Cousteau prima di venire ucciso per rapina proprio in una delle sue prime missioni con la Calypso.

L’uomo che inventò i “calzini rossi”, il simbolo portafortuna della vincente sfida neozelandese?

Sì, l’uomo che seppe coinvolgere un’intera nazione. Se in Nuova Zelanda è accaduto che tutto un paese siè infilato i calzini rossi, pagandoli 20 dollari il paio, non vedo perchè in Italia non si possano far navigare milioni di barchette di carta, che è il simbolo della nostra sottoscrizione, della Repubblica Marinara.
E se tutto fallisse?

Pazienza. Ma resterebbe un certo amaro in bocca per aver perso un’occasione, per non aver dato vita a qualcosa che può renderci tutti protagonisti di un sogno comune, capaci di dare una spinta propositiva piuttosto che rimanere, ancora una volta, semplici tifosi dei giochi altrui.
E gli sponsor?

Ecocompatibili. Oppure capaci di mettere in cantiere progetti utili all’ambiente. Da anni si parla di alternativa al petrolio, per esempio, ma ancora si vede poco o nulla sul piano della propulsione a idrogeno. Ecco, qualcuno che volesse davvero darsi da fare in questo campo sarebbe il nostro partner ideale. E noi per lui.
Ma uno sponsor non è in contraddizione con lo spirito della sottoscrizione, dell’idea dell’azionariato popolare?

Uno o più sponsor compatibili sono in grado di coprire le spese del progetto. A quel punto i sottoscrittori avrebbero due strade a disposizione: monetizzare l’investimento, cioè riavere indietro almeno una parte del denaro sottoscritto, oppure decidere di mettere questo denaro a disposizione di un qualche organismo umanitario per progetti di pubblica utilità, magari nel terzo mondo. Ma anche, per esempio, per sostenere in Italia dei progetti di conservazione del patrimonio ambientale e culturale: penso alle oasi del WWF, per dire, oppure ai siti del Fai, oppure ancora ai molti meravigliosi angoli del nostro bel paese che non sono curati e conservati come meriterebbero.