Giappone, e noi mangiamo le balene!

Il Giappone dice che la caccia alle balene è per scopi scientifici,  l’associazione ambientalista dice invece che i giapponesi cacciano a beneficio dei gourmet, ovvero dei clienti ghiottoni dei grandi ristoranti di Tokyo. Ed ai confini dell’Antartide, in pieno oceano Pacifico, è scontro.

Ci sono voluti mesi di ricerca, ma alla fine Greenpeace ha scovato in mezzo al mare, quasi in Antartide, al limite dell’oceano Bianco, migliaia di miglia a sud dell’Australia, sei navi da pesca giapponesi intente tranquillamente a dare la caccia alle balene, malgrado Tokyo abbia rinunciato alla pesca commerciale dei grandi mammiferi sin dal 1986.

Le autorità giapponesi sostengono che la caccia abbia semplici e nobili propositi scientifici, ma Greenpeace, convinta del contrario, ha cercato di dissaudere a suo modo i pescatori giapponesi, calando in acqua dalle sue due navi, la la Esperanza e la Artic Sunrise, due gommoni-disturbatori, che si sono messi tra le balene e gli arpioni da pesca, i cannoni piazzati a poppa delle baleniere.
Le altre barche giapponesi impegnate nella pesca sono accorse in aiuto, per allontanare i gommoni dei “guerrieri dell’arcobaleno”, investiti pure da tonnellate d’acqua versata dai cannoni.
E a quel punto i comnadanti di Greenpeace hanno deciso di interporre la grande Esperanza tra le balene e la nave madre giapponese, nel tentativo di impedirle il recupero delle balene catturate.
Una manovra finita in collisione tra le due navi, che ha ulteriormente esacerbato gli animi.
Malgrado il disappunto e le critiche internazionali il Giappone ha raddoppiato la sua quota di pescato annuo, portando il numero di balene cacciate a “scopi scientifici” a 850, comprese due specie ritenute a rischio di estinzione.


Nella disputa siè inserito anche il governo australiano che ha ufficialmente protestato con Tokyo: nel corso di un incontro ufficiale il primo ministro John Howard ha espressamente invitato il premier giapponese Junichiro Koizumi a rinunciare alla caccia, ma ha anche chiesto all’associazione ambientalista di smetterla con le azioni spettacolari, “che mettono a repentaglio la vita delle persone”.
<<Finchè avremo risorse e carburante a sufficienza le nostre navi pattuglieranno la zona di pesca battuta dai giapponesi, per molte settimane ancora>>, ha dichiarato Shane Rattenbury, uno degli attivisti che si trova a bordo dell’Artic Sunrise, intervistato via satellite dalla radio australiana.
La stagone di caccia dura sino alla fine di marzo.

Nuova Zelanda, noi amiamo le balene

Oltre 100 balenottere sono finite sulla spiaggia di Puponga, a nord della città di Nelson, nell’isola meridionale della Nuova Zelanda. Per giorni e giorni gli ambientalisti e la popolazione locale le hanno curate prima di riuscire a restituirle al mare. Il fenomeno, che si ripete spesso nei mari australi, non ha ancora una spiegazione plausibile.
Ma non parliamo di suicidio, per favore, dicono gli animalisti.

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Per Natale adotta un delfino

Vai sul sito www.adottaundelfino.it e contribuisci a tutelare questa specie fortemente minacciata e a finanziare i Centri di Ricerca di Caprera e Lampedusa.

Adottare un delfino per contribuire a proteggerlo: è l’idea del CTS Ambiente, che ha promosso una campagna di adozione cui proventi andranno a finanziare l’attività di studio dei suoi Centri Ricerca Delfini di Caprera e Lampedusa.
Ai neo genitori andrà un kit contenente il certificato di adozione dell’animale prescelto, la sua foto con la sua storia e una maglietta.

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Etiopia, nasce un nuovo oceano

La terra del deserto si spacca per lasciare il posto alle acque dell’oceano Indiano e creare un nuovo mare. Però c’è ancora tempo.

La frattura più imponente è lunga 60 metri ed è larga 4, ma un giorno, tra qualche milione di anni, si estenderà per centinaia di chilometri, diverrà profonda migliaia di metri e verrà invasa dalle acque dell’oceano. Accade nel deserto di Afar in Etiopia, da tempo oramai sotto stretta osservazione da parte di un gruppo di geologi europei ed americani che studia le spaccature della crosta terrestre. Il nuovo oceano separerà una strsica d’Africa dal continente, creando di fatto una enorme isola lungo le coste orientali. << La nuova isola>>, spiega Dereje Ayalew, dell’Università di Adis Abeba, <<sarà costituita da una parte dell’Eritrea, dell’Etiopia, del Kenya, della Tanzania e dalla metà del Monzambico>>.


Questa sì che è un’arma di distruzione di massa, altro che chiacchiere!

Il presidente dell’Accademia britannica delle Scienze (Royal Society), Lord May, e’ del parere che le conseguenze dell’effetto serra possano essere paragonate a quelle di “armi di distruzione di massa”. Lord May sottolinea che “gli impatti del riscaldamento planetario sono numerosi e gravi”, citando tra questi l’aumento del livello dei mari, la modifica del regime delle acque e l’ “accresciuta frequenza di eventi estremi, inondazioni, siccita’ e uragani”.”Questi ultimi, spiega, hanno conseguenze sempre piu’ gravi, al punto da poter essere paragonate a quelle delle armi di distruzione di massa”. I danni causati dall’uragano Katrina l’estate scorsa rappresentano l’ “1,7% del pil” degli Stati Uniti per il 2005 ed e’ “concepibile che la parte americana del Golfo del Messico diventi effettivamente inabitabile entro la fine del secolo”, aggiunge Lord May.

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Clima, le minaccie concrete. Già sommerso un piccolo atollo nel Pacifico

L’obiettivo principale della Conferenza di Montreal è il superamento del Protocollo di Kyoto per stabilire limiti concreti all’inquinamento ed alle sue conseguenze.

Entro i prossimi 150 anni, un tempo lampo per la Terra, la calotta polare potrebbe letteralmente sparire, siogliersi come ghiaccio al sole sotto l’effetto del riscaldamento climatico. Sono le previsioni dell’elaboratore del Lawrence Livermore National Laboratory che ha calcolato gli scenari oltre il 2100 e fino al 2300, il tutto calcolato in assenza di misure di mitigazione. Entro 300 anni, insomma la temperatura media potrebbe aumentare fino a 8 gradi con un aumento effettivo di ben 20 gradi nelle aree polari, la conseguente distruzione delle calotte e l’innalzamento del livello dei mari di circa 7 metri: una misura d’acqua che sommergerebbe intere città costiere. E che non sia una profezia allarmistica, diffusa magari dagli ambientalisti tanto per fare rumore, lo dice una notizia di questi giorni, maledettamente vera: lo sgombero forzato di alcuni isolotti della Papua Nuova Guinea, minacciati dalle acque.

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Punta dritto su Montreal l’ultimo degli uragani. Epsilon il convitato di pietra

In Canada, alla Conferenza sui mutamenti climatici aperta a Montreal, si discute di mutamenti climatici e di inquinamento atmosferico. Incalzati da un effetto serra ritenuto la principale causa di una stagione degli uragani senza precedenti, i rappresentanti di 189 paesi intendono andare oltre il protocollo di Kyoto, un accordo disatteso soprattuto dagli Stati Uniti, primo paese inquinatore al mondo.
A Montreal gli ambientalisti sfidano un clima polare per scendere in piazza e chiedere provvedimenti contro l’effetto serra, ritenuto responsabile del riscaldamernto della Terra e quindi delle catastrofi ambientali che hanno segnato il 2005. Gli ambientalisti hanno consegnato all’ambasciata americana una petizione con 600 mila firme che invita Washington ad impegnarsi concretamente contro i mutamenti climatici.
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