Coppa America, la Corte Suprema di New York dà ragione ad Oracle
Dopo quasi due anni il duello di carte bollate tra Alinghi e Oracle si è risolto a favore dell’americana. Ed ora il confronto si trasferisce finalmente in acqua, in una sfida che promette di essere mozzafiato, a bordo di enormi multiscafi, trimarani probabilmente, autentiche macchine da velocità.
“Se ne vada a quel paese Alinghi e tutti quei team di furbi professionisti che l’hanno sostenuto ipocritamente finora”. Questo è quando si dice il fair play, oppure il parlar chiaro, fate voi. In ogni caso è il commento di Vincenzo Onorato, verace napoletan-ponzese, patron di mascalzone Latino, al verdetto della Corte Suprema di New York che nella lunga diatriba tra Alinghi ed Oracle ha infine dato ragione all’Americana, stabilendo che Ernesto Bertarelli, il magnate italo svizzero di Alinghi, la squadra detentrice dell’America’s cup l’aveva fatta forse troppo grossa.
Indietro tutta. Altro che il fantomatico Club Nautico Spagnolo di Vela: se Alinghi vuole mettere in palio il Trofeo più antico dello sport deve trattare con lo Yacht Club di San Francisco, il Golden Gate Yacht Club, al quale fa riferimento la sfida lanciata da Oracle e dal suo boss, Larry Ellison che perso il duello in acqua aveva avviato quello in tribunale, contestando le regole imposte dal vincitore.
Che storia lunga e noiosa. Rivinta la Coppa nel 2007 in quel di Valencia, Alinghi aveva rimescolato le carte del gioco in maniera del tutto autonoma, senza sentire nessuno, come del resto permette il regolamento della competizione, ma troppo sfacciatamente a suo favore.
Aveva creato dal nulla un circolo nautico a sua immagine e somiglianza, lo “Espanol de Vela”, appunto, a cui affidare il ruolo di “Challenger of the record”, cioè di primo degli sfidanti, a cui spetta il ruolo di stabilire e accettare le regole di confronto in nome di tutti gli altri; ed aveva cambiato le barche di punto in bianco, senza dire niente a nessuno: non più i vecchi scatoloni “Classe Coppa America”, nati ai tempi del Moro di Venezia e giunti oramai a fine ciclo, spremuti come limoni, senza più nulla da inventare per andare più veloci, ma nuovi siluri di 30 metri di lunghezza, leggeri e invelati come libellule.
E’ chiaro che quelle nuove barche Alinghi le aveva già studiate a lungo, portandosi avanti col lavoro. E questo rappresentava un indubbio vantaggio. E poi quello Yacht Club fantoccio, compiacente, che non poteva esistere, perché per poter assumere quel ruolo che l’Ernesto gli aveva affidato avrebbe dovuto almeno aver organizzato una regata l’anno nel corso della sua esistenza, come invece non aveva fatto. Ce n’era insomma abbastanza, senza contare il pregresso, ovvero l’aver fatto della Coppa America il suo business personale (ma dai, diciamolo: lo avrebbero fatto chiunque, che moralismo!), per portare L’Ernesto in Tribunale e sfidarlo con il “Deed of Gift”, ovvero con l’atto di donazione, il fogliettino ultracentenario che in dieci regolette stabilisce vita, morte e miracoli della Coppa America.
E che dice questo foglietto?
Che ti posso lanciare una sfida noi due soli, faccia a faccia, con la barca che più mi aggrada. Ed è quello che ha fatto Oracle, che ha sfidato Alinghi e gli ha detto che vuole farlo con dei multiscafi, probabilmente dei trimarani giganti.
E la Corte di New York, l’unica competente, presso la quale è conservato il Deed of gift, ha dato ragione al signor Ellison ed al suo stratega, quel neozelandese Russel Coutts, prima vincitore della Coppa con Alinghi e poi messo alla porta dal suo pigmalione Bertarelli.
Potevano due denti avvelenati, Ellison e Coutts, non lasciare il segno?
No, non potevano. E’ per questo allora che adesso comincia lo spettacolo, perché due trimarani giganti di 30 metri di lunghezza, leggeri come foglie al vento e una montagna di vele da gonfiare, autentiche macchine da velocità, sono uno spettacolo. Con tutti gli altri a guardare.