Rolls Royce, il mito spezzato?

In una notte d’estate una nave passeggeri della compagnia Moby, con 1700 passeggeri a bordo, è costretta a rientrare in porto ad Olbia per un’avaria ad un’elica, che risulterà poi spezzata di netto.
Si pensa ad un urto in mare con un corpo immerso, ma il problema è invece… alla radice. E finisce in tribunale, con una richiesta milionaria.

Tutto ha inizio in una notte stellata di mezza estate di oltre un anno fa, nel 2003. Anzi, a pensarci bene, di molto tempo prima, in un’altra notte, di primavera questa volta e decisamente più cupa, quella del 10 aprile del 1991 quando, alle 22 e 26, al largo di Livorno si compie una tragedia di proporzioni enormi, un’autentica apocalisse.

E’ la sera in cui la Moby Prince, che ha appena lasciato il porto alla volta di Olbia, entra in collisione con un’altra nave, la Agip Abruzzo, che si trova alla fonda davanti alla costa toscana. Il traghetto prende fuoco e brucia con sé anche le vite di 140 persone, rimaste invano in attesa di soccorsi. Muoiono tutti carbonizzati nell’inferno. Tutti tranne Alessio Bertrand, il mozzo, miracolosamente scampato alla tragedia, aggrappato al bordo della nave, finalmente recuperato all’arrivo dei soccorritori, dopo ore dall’incidente. Un colpo terribile. La più grave sciagura dei mari italiani, rimasta senza colpevoli, consumata, peraltro, davanti ad una flotta di 5 navi militari americane di ritorno dal Golfo Persico, impegnate nel carico d’armi, e che inspiegabilmente non hanno visto nulla di come sono andate le cose. Un tributo di vite umane che si è tradotto anche in un pesante crollo d’immagine per la compagnia armatrice, la Navarma, e per la proprietà, la Moby Invest di Vincenzo Onorato, completamente scagionato già in istruttoria. Un disastro costato anni di risalita controvento per tornare nuovamente ad essere le navi della sorridente balena azzurra che porta passeggeri in vacanza (oltre 3 milioni e 500 mila nel 2003) con il puntiglio ed il vanto della sicurezza, innanzitutto.

Ecco perchè oggi Vincenzo Onorato non ci sta. Ecco perché l’ armatore della Moby non accetta di vedere nuovamente un suo traghetto coinvolto in una disavventura come quella sofferta questa volta dal Moby Freedom la notte del 17 agosto del 2003, al largo della Sardegna. E si è dunque messo in rotta di collisione nientemeno che con la Rolls Royce, pronto a citarla in giudizio per una somma pari a 29 milioni di euro, lira più o lira meno, oltre 56 miliardi delle vecchie care lire, poiché secondo lui l’azienda britannica è all’origine delle disavventure del traghetto e degli oltre 20 mila passeggeri complessivamente coinvolti da disfunzioni a catena su tutte le tratte servite dalla compagnia di navigazione.
Quella notte stellata d’agosto, dunque, la Moby Freedom lascia Olbia diretta in continente con a bordo 1700 passeggeri. Sono circa le due quando si verifica una falla a poppa e la nave comincia a non rispondere più come dovrebbe. L’armatore è il primo ad essere contattato nel cuore della notte. Insieme con il comandante della nave e con il management della compagnia concorda l’immediato rientro nel porto sardo, al fine di evitare quantomeno ogni possibile disagio ai passeggeri, se non proprio ogni possibile rischio. L’indomani vengono fatti immergere dei sommozzatori e si scopre che una delle pale delle 2 eliche, quella di sinistra, è troncata di netto. «Tra le ipotesi avanzate nell’immediato», ha spiegato Onorato in una conferenza stampa di fuoco convocata a Milano il mese scorso, «abbiamo preso in considerazione quella di un urto con un corpo immerso, che ha troncato l’elica.

Tuttavia non ne eravamo completamente convinti, anche se restava l’unica spiegazione plausibile, perché le pale della Moby Freedom, una nave varata appena nel 2001, erano ritenute di primissima qualità, fornite da una casa che, almeno allora», spiega ancora incredulo l’armatore « certamente non poteva prestarsi a discussioni, poichè parliamo pur sempre della Rolls Royce ! ».
Pale d’acciaio, di qualità Iso 9000, classe “Ice”, ovvero idoneee alla navigazione tra i ghiacci, pronte a triturare intere banchise del Polo Nord, figuriamoci magari un frigorifero, uno di quei tanti oggetti che noi italiani siamo così bravi a seminare in mare, buttandoli magari al fiume perché proprio non sappiamo come “smaltire”. Pale che oltretutto, puntualizza Onorato, «costano 3 volte le altre», proprio perché prodotte dalla prestigiosa casa dalla doppia “R” sovrapposta e della statuetta d’argento che sfida il vento a prua delle rinomate automobili : 70 mila l’una, contro 23 mila.
E così la Moby Freedom viene tirata in bacino, perché come è possibile che si spacchino in quel modo? Anche alla luce del sole, per?, tutto appare regolare e quella spaccatura, dunque, sempre più inspiegabile se non con l’urto con qualcosa di sommerso. Ma l’armatore non si convince, insiste, e quello che non si vede ad occhio nudo, secondo la sua ricostruzione, appare presto sotto la mano esperta dei tecnici che irrorano le pale delle eliche di acidi rilevatori e scoprono… un sacco di saldature! lì dove proprio non si dovrebbe. «Perché, oltretutto, non stiamo parlando di navi porta container», quasi s’indigna Onorato, anzi, s’indigna proprio, «ma di navi passeggeri, di vite umane, di donne e di bambini in vacanza… di uomini». Da un’indagine accurata risulta che delle 8 complessive pale che compongono le due eliche della Moby Freedom, «una è dunque spezzata, mentre altre cinque presentano saldature nei punti critici, ovvero alla radice delle pale», nella parte piena della fusione, dove dovrebbe regnare l’acciaio pieno più assoluto. La cosa è talmente sconcertante per Onorato, che decide di far verificare anche le eliche della nave gemella Moby Wonder : « E pure quelle risultano saldate». Complessivamente, dell’intero lotto di 20 pale commissionato e consegnato da Roll Royce, secondo la Moby, almeno 6 pale risultano difettose.

In particolare l’Istituto Italiano della Saldatura, al quale si è rivolto la compagnia armatrice, ha evidenziato delle “saldature alla radice”: «Un fatto gravissimo», incalza Onorato, « perché le norme degli istituti di classificazione proibiscono le riparazioni per saldatura di pale lesionate alla radice e impongono la sostituzione della pala per ovvie ragioni di sicurezza, tanto più quando si tratta di navi passeggeri». Finisce qui ? Macchè, ci sono ancora sorprese. Un’ ulteriore verifica compiuta su un’ulteriore nave, la Moby Aki, ancora in costruzione presso la Fincantieri di Ancona, rivela nuovamente problemi alle eliche fornite dalla Roll Royce. «Tanto che la Fincantieri», sottolinea Onorato, « ne rifiuta una perché anche questa viziata da saldature». E’ a questo punto che la casa britannica, secondo l’armatore, anche alla luce dalle perizie di un illustre professore inglese, Timothy Baker, che certifica “saldature multiple”, ammette apparentemente di trovarsi di fronte ad una “quality
issue”. Ad un problema di qualità, come spiega la Moby. Ma com’è possibile che questo possa accadere ad un gigante di tal fatta, quale la Rolls Royce, se davvero di questo si tratta? Sono cose che stabilirà il giudice. Di certo c’entra la globalizzazione, poichè la commessa che la Rolls ha ricevuto dall’armatore italiano -il quale nel frattempo ha acquistato nuove 20 pale dalla Wartsila-Lips- è stata girata ad un operatore terzo che ha realizzato le eliche “alate”, senza poter apparentemente vantare i primati qualitativi della casa britannica. Le indagini in tal senso compiute dallo staff e dai legali Moby portano infatti direttamente ad una fonderia norvegese, committente della Rolls. «E questa stessa fonderia», sostiene Onorato quanto mai deciso a portare il colosso britannico in tribunale, con il quale ha rifiutato ogni tentativo di contatto, «ha lavorato pale d’elica per altre compagnie armatrici, di navi che sono oggi in mare, in tutto il mondo, a correre gli stessi rischi della Moby». Interpellata, la Rolls Royce si è limitata, almeno per il momento, a rilasciare un secco e laconico commento, che a leggere bene cerca per? di gettare molta acqua sul fuoco, confermando la volontà di trovare una soluzione diversa da quella del tribunale e quindi un contatto con la Moby, senza alzare troppo polverone : «Rolls
Royce conferma di non aver ricevuto alcuna notifica di azione legale intrapresa da Moby Lines nei suoi confronti», si legge nel comunicato stampa, “posizione ufficiale di Rolls-Royce sul caso Moby Lines”. «Rolls Royce», prosegue il documento, « sta verificando le osservazioni fatte dal cliente ed è in attesa di di ricevere ulteriori informazioni tecniche da parte di esperti terzi e indipendenti. Da quando è stata informata della questione, Rolls Royce ha cercato con tutti i mezzi di trovare insieme alcliente la migliore soluzione. Questo lavoro continuerà finchè entrambe le società riterranno, con reciproca soddisfazione, di avere individuato le cause del problema». Non è solo una questione d’immagine, a pensarci bene, anche se a giudizio concluso, eventualmente, la disputa potrebbe valere 29 milioni di euro e magari anche un ricorso a catena ai tribunali da parte di altre compagnie. Oppure un risarcimento altrettanto milionario che certamente la Rolls chiederebbe qualora fosse scagionata, nell’evenienza di un giudizio. Più interessi decennali, all’occorrenza, perché il processo si farà forse in Italia.

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