L’obiettivo principale della Conferenza di Montreal è il superamento del Protocollo di Kyoto per stabilire limiti concreti all’inquinamento ed alle sue conseguenze.
Entro i prossimi 150 anni, un tempo lampo per la Terra, la calotta polare potrebbe letteralmente sparire, siogliersi come ghiaccio al sole sotto l’effetto del riscaldamento climatico. Sono le previsioni dell’elaboratore del Lawrence Livermore National Laboratory che ha calcolato gli scenari oltre il 2100 e fino al 2300, il tutto calcolato in assenza di misure di mitigazione. Entro 300 anni, insomma la temperatura media potrebbe aumentare fino a 8 gradi con un aumento effettivo di ben 20 gradi nelle aree polari, la conseguente distruzione delle calotte e l’innalzamento del livello dei mari di circa 7 metri: una misura d’acqua che sommergerebbe intere città costiere. E che non sia una profezia allarmistica, diffusa magari dagli ambientalisti tanto per fare rumore, lo dice una notizia di questi giorni, maledettamente vera: lo sgombero forzato di alcuni isolotti della Papua Nuova Guinea, minacciati dalle acque.
Gli abitanti degli atolli di Carteret, 980 persone, sono infatti i primi “sfollati ambientali” della storia moderna, i primi abitanti costretti ad abbandonare le loro case, la loro terra, perchè stanno per finire sott’acqua, sommerse dall’oceano Pacifico. Dieci famiglie alla volta saranno trasferite a Bougainville, 100 km a sud di questi sei atolli a forma di ferro di cavallo, scoperti nel 1767 dal navigatore britannico Philip Carteret, la cui superficie totale non supera quella di 80 campi di calcio messi insieme e l’altitudine sul livello del mare non va oltre il metro e mezzo. Entro il 2015 saranno con ogni probabilita’ completamente sommersi, questa la previsione degli studiosi. “Molte delle case sono state gia’ spazzate via dal mare”, ha detto a Radio Australia il coordinatore distrettuale di Bougainville, Joe Kaipu. “L’unica azione possibile e’ di reinsediarli altrove”. Ormai da anni, la vita nelle Carteret e’ ben lontana dalla visione idillica di isole dei mari del sud all’ombra delle palme di cocco.
Molti degli abitanti sono alla fame e dipendono dagli scarsi aiuti di emergenza dal governo di Port Moresby, perche’ l’infiltrazione di acqua salata ha distrutto la vegetazione e impedisce di coltivare le verdure e l’albero del pane. Dopo le Carteret molte altre isole del Pacifico potrebbero essere ingoiate dall’oceano, come le Kiribati, Tuvalu, le isole Marhall e le Maldive, i cui abitanti possono solo sperare di essere accolti come profughi in paesi piu’ fortunati e sufficientemente generosi, come la Nuova Zelanda, oppure in un clamoroso errore delle previsioni.
Un campanello d’allarme che i paesi chiamati a Montreal a discutere nell’ambito della 11/a conferenza della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici
(COP11), devono avere ben presente. Montreal è il primo banco di prova per il Protocollo di Kyoto dopo la sua approvazione definitiva lo scorso 16 febbraio,
anche se il nodo della questione è proprio il superamento di un’intesa mai davvero osservata, disattesa soprattutto dagli Ststati Uniti, con l’obiettivo di andare oltre Kyoto per definire le strategie globali per ‘governare’ il cambiamento climatico in atto. I negoziati dovranno necessariamente coinvolgere in un piano comune gli
Stati Uniti e i Paesi in via di sviluppo, in particolare India e Cina, insieme agli altri Paesi industrializzati (Canada, Giappone e Australia), i quali hanno costituito nel luglio 2005 un accordo ‘Asia-Pacifico’ per una riduzione dei gas serra su base volontaria tramite lo sviluppo di nuove tecnologie e soluzioni energetiche. Ma Montreal vedra’ anche la prima riunione ufficiale dei Paesi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto (Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol’, ovvero MOP1, che impegna i Paesi industrializzati a ridurre le proprie emissioni (nel periodo 2008-2012) nella misura del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Considerando l’assenza di Stati Uniti ed Australia come Stati parte, si presume che la riduzione effettiva sara’ invece attorno al 3,5%. Gli esperti hanno calcolato che la concentrazione atmosferica di CO2 dovrebbe essere stabilizzata entro la fine del secolo ad un livello compreso tra 500 e 550 parti per milione. Per raggiungere questo obiettivo, le emissioni globali di anidride carbonica dovranno essere ridotte, entro il 2030, di circa il 30% e per il 2050 del 60%, almeno rispetto ai valori attuali. Una concentrazione piu’ elevata di CO2 comporterebbe un’ intensificazione di fenomeni come uragani, inondazioni, siccita’ prolungate. Intanto le previsioni future riguardo al consumo energetico vedono un incremento notevole dell’impiego dei combustibili fossili. Secondo il ‘Business As Usual Scenario’ del World Energy Outlook 2005, dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, il consumo mondiale di energia crescera’ tra il 2004 e il 2030 di circa il 55%, determinando un aumento delle emissioni globali di CO2 per almeno il 60% rispetto ai livelli attuali. La parte del leone la faranno economie emergenti come Cina, India, Brasile, Indonesia e Sud Africa), che contribuiranno ai due terzi dell’aumento dei consumi e delle relative emissioni.