Di solito il Salone nautico di Genova viene descritto dai numeri, dalle cifre che danno un’idea immediata della consistenza dell’esposizione: il numero delle barche esposte, il numero dei visitatori, il giro d’affari, i metri della barca più lunga, l’ammiraglia, e così via.
Quest’anno il numero descrittivo è uno solo, ed è 20 mila. E rappresenta purtroppo il numero dei posti di lavoro persi da un’industria che pur riuscendo a galleggiare nel mare grande del mercato internazionale, a livello casalingo sconta una crisi forse mai vista prima, giunta peraltro al culmine di alcuni anni di vacche magre che già avevano sfiancato il settore e che ha visto evaporare le vendite del del 45%.
La nautica insomma ha smesso di tirare, vittima anch’essa della crisi che ci rappresenta.
Si dice che ogni barca venduta generi circa due posti di lavoro, se dividiamo allora i 20 mila per due otteniamo che sono scomparse dai nostri mari 10 mila imbarcazioni.
Eppure quelle che hanno levato le ancore per altri lidi che non quelli italiani sono stimate in molte di più, circa 30 mila, segnando una domanda di ormeggi in transito o stanziali in calo del 25% per cento, con un consumo di carburanti alla vendita sceso del 40%.
Ecco perchè forse per la prima volta nella sua storia il Salone quest’anno ha visto la protesta dei suoi stessi organizzatori, gli industriali dell’Ucina, la Confindustria della nautica, che hanno disertato la cerimonia inaugurale come segno di protesta nei confronti delle politiche del governo in materia di nautica.
Insomma, non tutto è dovuto alla sola crisi globale – dicono i costruttori – ma anche alle perversioni che questa ha creato nel Belpaese con un provvedimento restrittivo della nautica emesso da un Governo tecnico che nell’introdurre di fatto una tassa di soggiorno per chiunque navigasse nei mari italiani ha avuto nulla o poco di tecnico, creando un fuggi fuggi generale. Poco importa che si sia poi ricreduto, trasformando il provvedimento nella nuova tassa di stazionamento che si paga di nuovo oggi, perchè nel frattempo chi poteva si è trasferito nei paesi dirimpettai, come Spagna, Grecia, Croazia, Francia e persino nord Africa, accolto a braccia aperte.
Si sono lasciati fuggire i pesci grandi e la nostra risorsa più importante, il turismo.
Oggi i dati delle entrate fiscali di questi nuovi provvedimenti presi sono imbarazzanti, perchè illustrano un fatto basilare che i tecnici avrebbbero ben dovuto sapere e che invece è stato ignorato: in Italia non esiste un registro informatico delle imbarcazioni, ma ogni Capitaneria di porto registra a mano e sui fogli le imbarcazioni, rendendo così difficile, vedi impossibile, fare un controllo a tappeto di chi ha pagato la tassa di stazionamento e chi non lo ha fatto.
E lo stesso vale quindi per i controlli in mare, da fare uno per uno …
Il risultato è che dei 155 milioni di euro attesi, l’erario ne ha incassati a malapena 24, perdendone sicuramente di più in indotto.
Forse ci si poteva ragionare prima.
La situazione è illustrata benissimo dalla banchine vuote del Salone, specchi d’acqua desolatamente deserti quando in anni passati la rassegna doveva lasciare fuori gli espositori per assoluta mancanza di spazio e le barche erano infilate dappertutto, anche nei sottoscala.
Senza dimenticare che l’industria nautica, anche in anni recenti, ha conosciuto momenti di crescita a due cifre, come nessun’altra industria in Italia ha saputo fare, se non quella turistica.
Ma è vero che risulta comunque difficile conciliare il misero 0,17% dei contribuenti che dichiarano oltre 200 mila euro l’anno di reddito con i 2600 yacht tra i 18 e i 24 metri venduti in Italia, le 12.900 imbarcazioni tra i 12 ed i 18 metri, le migliaia sotto i 12 metri.
E di certo, con il 93,8% di Irpef versata, dato scandaloso, non possono essere certo i lavoratori dipendenti e i pensionati gli acquirenti delle belle barche in esposizione.
C’è poi un altro elemento che inquieta un settore che, a torto o a ragione, è considerato un mondo di evasori, ed è il futuro redditometro che il Governo si appresta a varare e che sconsiglia a chiunque – evasore o no – di attraversare il grande mare che lo separa dall’acquisto di una barca, sia pure una barca a vela di poche decine di migliaia di euro, magari usata.
Perché? Semplice: per il fisco una barca, a vela o a motore che sia, anche una vecchia zattera, ha un moltiplicatore (della ricchezza) pari a 7, ovvero di poco inferiore all’8 che identifica gli aerei personali, laddove per le seconde case è di 5.
Scordiamoci allora dei 7 mila chilometri di coste, tanto oramai sono per la gran parte cementificate, scordiamoci anche che il mare e la navigazione possono rappresentare una scuola di vita che incoraggi il rispetto per l’ambiente, e scordiamoci pure di essere stati un popolo di navigatori: la nautica è un lusso.
io sono del settore nautico e vi posso garantire che il governo attuale sta’ veramente esagerando perche’ vuole troppo velocemente recuperare cio’ che e’ stato permesso di evadere negli ultimi 20 anni grazie a certe menti pensanti che hanno solamente curato i propri interessi mandando in rovina l’italiaOggi fannoaddirittura le vittime mentre i loro discepoli continuano a rubare di tutto e di piu’Togliete i paraocchi e cominciate ad analizzare la politica italiana obiettivamente nonx tornaconto
Semplice curiosità:il mio vicino ha una moto (Harley davidson)da 40.000€…io una barca a vela da 7500€…l’altro fuma un pacchetto di semplici sigarette al giorno (spendendo quindi 18000€ in 10 anni.Siamo tutti ladri evasori?Oppure può essere una passione dove ognuno ripone i risparmi magari sudati e già tassati?
Temo che la nautica sia un lusso…
ma lo sono diventate anche le abitazioni (vedi IMU), la raccolta dei rifiuti, l’acqua ha costi esorbitanti, l’energia idem…
Ci resta solo un ultimo costosissimo lusso…
questa classe politica (e i dirigenti da essa nominati) che non conosce vergogna ne limiti.
Per quanto tempo ancora ce la potremo permettere?
Capiranno mai (chi governa) che una imbarcazione, una abitazione, un capo artigianale o un gioiello, danno lavoro?