Le diavolerie del giovane Michael, cavaliere d’avventura

Vela, un adolescente inglese alla conquista del giro del mondo in solitario
A soli sedici anni di età Michael Perham si è lanciato in un’avventura che mette i brividi al solo pensiero a marinai più esperti e stagionati: il giro del mondo in solitario, senza scalo. Quattro mesi alle prese con i mari più infidi e spettacolari del pianeta, a cavallo dei “40 ruggenti” e dei “50 urlanti”: i venti imperiosi delle alte latitudini australi, con l’Antartide come unica immensa boa di ghiaccio.

“Solo un po’ nervoso”, dice lui. Ma anche eccitato all’idea di avventurarsi da solo alla scoperta del mondo o meglio, della circumnavigazione del mondo.

“L’impresa è un po’ pazza”, ammette Michael, soprattutto per l’età, “ma comunque”, aggiunge serio, “ è una grande avventura” che per lui, amante dell’ambiente, gli permetterà, eccome!, di confrontarsi direttamente con gli elementi della natura al suo stato puro: con i mari più infidi e spettacolari del pianeta, i venti imperiosi che spingono montagne d’acqua, il gelo e la solitudine degli oceani del sud: i tre oceani di solitudine.

Chissà se gli saranno di conforto tutti gli oggetti e le attenzioni che mamma è papà hanno voluto lasciargli in barca, per rendergli meno dura la permanenza a bordo, in particolare in quei momenti dell’anno, come le festività natalizie, in cui il languore si fa sentire, soprattutto se ci si trova su un guscio di noce, soli in mezzo al mare più lontano. In mare passerà circa 4 mesi, il che vuol dire che la sua barca, 15 metri di lunghezza, è fatta soprattutto per “andare” in sicurezza e non per correre, perché il record di navigazione intorno al mondo su barche simili alla sua è ben al di sotto dei 100 giorni, dunque tre mesi.

A cose fatte stabilirà il record del più giovane navigatore in solitario intorno al mondo, che per il momento è appannaggio di un australiano, Jesse Martin, che lo ha stabilito nel 1999, all’età di 18 anni. Per quello di velocità, se le cose stanno così, è solo questione di tempo. Tre oceani, Atlantico, Indiano e Pacifico, doppiando i tre grandi Capi del Pianeta: il Capo di Buona Speranza, a sud dell’Africa, il Capo Leeuwin, in Australia e, infine il più temibile dei mari, museo sommerso delle navi d’ogni epoca, estremo lembo di terra continentale prima del grande salto sull’Antartide: Il Cabo de Hornos, Capo Horn.

Saranno mesi di passione oltre che navigazione, come essere dentro una lavatrice e non una passeggiata: nebbia, umidità, iceberg alla deriva, ghiaccio e vento gelato, planate folli giù da onde alte come palazzi, la barca che non lascia un attimo di respiro. Un vero inferno: le testimonianze in questo senso proprio non mancano e sono tutte concordi, è l’impresa marinara delle imprese, come scalare l’Everest. Michael ha iniziato ad andare a vela all’età di 7 anni, con una deriva regalatagli dal padre, un immobiliarista, per poi compiere l’exploit un paio di anni fa quando traversò l’atlantico in solitario a bordo di una piccola barca.

Ma si trattava “semplicemente” di seguire la rotta degli Alisei, i venti gentili che soffiano dall’ Europa verso le Americhe, oltretutto seguito passo passo dal padre a bordo di un’altra imbarcazione, e non di gettarsi a capofitto verso l’inferno. Sarà una prova dura, molto al limite, che sicuramente forgerà fino nel più profondo il carattere di Micheal, peraltro già sulla buonissima scia dei grandi marinai del passato e dei campioni oceanici di oggi.

Ma alzi la mano un altro padre che acconsentirebbe ad un viaggio simile, alle diavolerie di un figlio votato all’avventura. Il fegato, tra i Perham, deve essere proprio una questione di famiglia.

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