Da oggi in Portogallo le regate di avvicinamento all’evento 2013.
A Cascais, in Portogallo, debuttano i catamarani di 45 piedi di lunghezza (15 metri), figli minori di quelli di 72 piedi (24 metri)con cui nel 2013 a San Francisco (California) si correrà l’America’s Cup vera e propria. Nessuna barca italiana in gara, ma ci sono i cinesi e i coreani.L’America’s Cup torna in acqua nella sua nuova veste di “corsa a tappe”, in attesa di approdare nella sua cornice designata, nella baia di San Francisco, dove il detentore Bmw Oracle, del miliardario Larry Allison, ha deciso di portarla per la sua prossima edizione, la numero 34, nel 2013.
Le regate di Cascais sono dunque il primo atto della formula scelta dagli americani per creare e restituire attesa intorno a un evento che ha fatto di tutto per perderla in questi anni di diatribe giudiziarie, che hanno visto Oracle e Alinghi sfidarsi in tribunale piuttosto che in acqua, in un gorgo di pandette legali che ha sfinito anche il più innamorato e ingenuo sostenitore di questo sport già elitario, snob e ostico ai più.
E’ una Coppa America di crisi, in tempo di crisi, che fa finta di non vedere, oppure che vede ma che ha comunque le risorse per andare avanti, magari controvento e finchè dura.
Tra i partecipanti a queste America’s Cup World Series, così si chiamano e che annoverano nove team, di fatto ci sono solo tre squadre in grado di garantire brividi: sono gli americani detentori, Oracle naturalmente, i campioni neozelandesi di New Zealand e poi gli svedesi di Artemis, capitanati dal sempreverde e da noi sempre amatissimo Paul Cayard, indimenticato skipper franco-americano del Moro di Venezia.
Il resto è una lunga serie di comparse, tra cui cinesi e coreani.
E chissà quanti di questi riusciranno poi ad approdare davvero alle regate del 2013 nella baia di San Francisco, quando le barchette “piccole”, da allenamento, verranno messe da parte per far posto ai mostri a cinque stelle, di 27 metri di lunghezza e tecnologia, le cui realizzazioni e gestioni prevedono portafogli planetari, dai costi quantomeno sestuplicati rispetto alle imbarcazioni del recente passato, che veleggiavano, Luna Rossa per dire, intorno ai 130 milioni di Euro.
Ellison è certo tipo da far da solo, il suo impero gli consente di metterci di tasca sua oltre che con gli sponsor; i neozelandesi hanno trovato gli sceicchi e se li tengono stretti, ma tutti gli altri, se la ruota non gira presto, rischiano di trovarsi a secco di quattrini e quindi di progetti, vittime di una nuova recessione che sembra voler mordere come e più di prima, disegnando ahìnoi la temuta “w” ipotizzata dagli economisti: discesa, risalita, discesa e …
E’ quello che è accaduto alle velleità dei team italiani, all’eterno Mascalzone Latino che è riuscito a imporre un marchio senza mai davvero mettere soldi suoi, come la storia dell’America’s Cup, dai vari Lipton (tè) e Bic (penne a sfera), impone e insegna.
Il patron di Mascalzone, Vincenzo Onorato, era persino il “Challenger of the record”, ovvero era lo sfidante organizzatore, il primo che fosse riuscito a presentare la sfida al vincitore Oracle nella regata contro Alinghi.
Ma poi si è dovuto ritirare in sordina, senza alcuno sponsor a sostenerlo, alimentando il sospetto che anche quella “sfida” presentata a Allison in gommone e cerata indosso nelle acque di Valencia, con un perfetto tempismo subito a conclusione dell’ultima regata, non fosse altro che una bella rappresentazione d’immagine e null’altro.
Ancora più sconcertante la storia di Venezia Challenge, una fantomatica sfida veneziana che di Venezia aveva solo il nome, quasi uno specchietto per le allodole, e che era invece portata avanti da un circolo siciliano: si sono lanciati in pompa magna, con i media e i titoloni di giornale a fargli da sparring partner, e poi sono spariti nel nulla.
Anzi, sono stati proprio cacciati via dagli organizzatori dell’America’s Cup, perchè insolventi: non avevano pagato e non avrebbero più potuto pagare.
Due storie esemplari che fotografano senza pietà la realtà italiana di una crisi economica che taglia persino uno degli sport più televisivi, capace ai tempi del Moro di Venezia e di Luna Rossa di tenere incollati al televisore milioni di italiani, malgrado il fuso orario degli eventi, che da noi si tenevano a notte fonda.
Le risorse pubblicitarie, insomma, se ci sono sono destinate a colpi sicuri: a eventi e sport in grado di garantire ritorni senza rischi e non a situazioni improvvisate, dagli esiti incerti.
In Italia non mancano i talenti e gli uomini in grado di portare avanti una sfida così lunga e impegnativa com’è quella di una campagna di Coppa America, anzi; ma come in ogni ogni altro campo della nostra tradizione e cultura civica nazionale, sono troppe le iniziative alimentate da personalismi e protagonismi che disperdono energie e competenze in rivoli inutili.
Insomma, l’enorme esperienza accumulata in questi ultimi decenni di patecipazioni italiane alla Coppa America, da Azzurra in poi, attende sempre e comunque una sfida tutta in azzurro, nazionale, in nome di una Repubblica del mare capace di portare in acqua valori condivisi: l’immagine di un Paese coeso, innovativo e vincente. Chissà.
Il canale YouTube dell’America’s Cup con tutti i video delle regate e un po’ di storia