Pesante bilancio di una regata transatlantica partita nel peggiore dei modi. Passata la tempesta, l’italiano Pedote è ora in testa nei multiscafi di 50 piedi.
Un celebre adagio inglese, coniato dunque dai padri della marineraia moderna, recita che il buon comandante di un’imbarcazione non è colui che esce indenne dalla tempesta… ma colui che nella tempesta evita di entrarci, blandendola e aggirandola.
E’ evidente che la storiella è del tutto sconosciuta agli organizzatori della Transat Jaques Vabre, la regata in transatlantico tra la Francia e Itajai, in Brasile, che pur a conoscenza di una forte perturbazione in arrivo, proprio in occasione della partenza, hanno comunque dato il via alla regata, che poteva tranquillamente essere rimandata di un paio di giorni.
Il bilancio è di 17 barche ritirate, molte danneggiate, altre addirittura semi affondate e quindi abbandonate in Atlantico, con avventurosi recuperi dei naufraghi (vedi video Hugo Boss).
Francamente non si capisce il criterio di una posizione del genere, nemmeno vi fossero obblighi di nobiltà oceanica da far valere, blasoni da Circolo; a meno che non si volesse creare un evento nell’evento, una spettacolarizzazione da circo equestre ad uso e consumo della pubblica opinione per far parlare di sé e per sostenere il principio tanto caro oltr’Alpe che l’oceano (l’Océan…) è per i duri, punto.
Di solito gli organizzatori di questi grandi eventi di vela oceanica sono vecchi velisti che sopravvissuti alle loro avventure hanno oramai preso a metro organizzativo proprio le loro imprese, una sorta di auto deificazione.
Ma un fatto è trovarsi in condizioni difficili quando si è già in mezzo al mare, altro è andarsela a cercare per trovarsi a lottare subito per la sopravvivenza.
Dopotutto parliamo di sport o no?
Nessuno ha obbligato gli skipper a mettersi in mare, è chiaro; ma un professionista che si è preparato per mesi, anni magari, che ha investito risorse ed energie nel suo progetto, che ha obblighi con gli sponsor, è certo che non può tirarsi indietro e che è costretto a partire sulla sua pelle.
Francamente la trovo una cosa fuori da ogni regola, persino di marketing, chi ha responsabilità organizzative dovrebbe rifletterci.
Occorre proprio ricordare le tragedie che nel passato hanno segnato anche le grandi regate, come il drammatico Fastnet del 2009, con 15 vittime; la Sydney-Hobart, che prima di stringere il cerchio ai soli professionisti lasciava avventurarsi verso la Tasmania le famigliole, anche lì contandone le vittime?
L’ultima e più insopportabile delle tragedie annunciate è appena di un paio d’anni fa, la Cape Town-Rio, divenuta celebre da noi perchè vi partecipava Soldini: anche quella una regata ostinatamente fatta partire nonostante l’avviso di burrasca in arrivo e poi costata poi la vita a un partecipante.
In questa rassegna dell’inutile sacrificio umano a vela mi viene in mente anche il povero velista britannico morto in Coppa America a San Francisco, Bart Simpson, annegato nel rovesciamento dei catamarani spaziali voluti dagli “organizzatori”, ovvero i detentori del Trofeo.
Macchine da velocità ora accantonate, rivelatesi persino incontrollabili, e costate milioni di dollari di investimenti, in nome di una spettacolarizzazione e di un gigantismo dell’America’s Cup, che si è oggi ridotta a sfidarsi quasi con gli Hobby Cat da spiaggia nel disinteresse generale.
E’ indicativo poi che in questa Transat abbiano avuto i danni più seri e in numero maggiore proprio le barche che sulla carta avrebbero dovuto essere le più solide, oltre che le più moderne: gli Imoca 60, gli scafi destinati a correre le più dure regate intorno al mondo, alle prese con i mari più infidi e spettacolari del pianeta.
Segno che l’asticella si è alzata prepotentemente e che raggiungerla è un ansia che fa male.
In tutto questo, con tre mani di terzaroli alla randa, e solo con quella, l’unico italiano in gara, Giancarlo Pedote, ha felicemente passato la “nuttata”, sia pure con qualche livido di troppo, ma comunque rimasto in piedi nel “combattimento”.
Lo skipper del trimarano di 50 piedi, FénetreA- Prysmian, in coppia con il francese Erwan Le Roux ha tenuto una condotta di gara intelligente, badando soprattutto alla pelle e a non fare danni a sé e alla barca nella fasi più difficili della tempesta, centellinando le risorse e trattenendo il fiato, per poi mollare il freno una volta passata.
Ora guida brillantemente la gara nella sua categoria, con oltre 400 miglia di vantaggio sul secondo, e la calma dopo la tempesta gli ha permesso anche di parlare al telefono con gli scriba e con Thalassa in particolare.
Eccovi la conversazione. Buon vento a tutti.