L’inviato, Carlo Marincovich

Il mondo del giornalismo perde un maestro, l’inviato di Repubblica Carlo Marincovich, scomparso martedì scorso a Roma all’età di 73 anni. La leggerezza e l’ironia della sua scrittura, i suoi articoli sulla Formula Uno, hanno inaugurato un genere: piccole perle di letteratura.

Per anni lo avevo letto, forse come prima cosa non appena acquistata Repubblica, almeno il lunedì, all’indomani di un Gran Premio. Carlo era capace di raccontare quel mondo dorato e lontano che è la Formula Uno come nessun altro, capace di umanizzarlo nel bene e nel male e spesso e volentieri dissacrarlo.

E sì che in un paese di esteti e di innamorati del motore com’è l’Italia non era facile prendersi gioco della Ferrari che perdeva, criticandola con puntualità e rigore, elencando con meticolosità certosina e nessuna pietà ogni difetto.

Si racconta che fosse capace come pochi altri giornalisti di far arrabbiare il grande vecchio Enzo Ferrari e, quindi, più tardi anche Montezemolo e Jean Todt del quale era comunque amico.

Ma il suo vero amore, la sua grande passione era lo scrivere di mare.
E qui Carlo era un insuperabile maestro, uno scrittore autentico, dotato di quel tocco in più, di quella leggerezza e quella grazia che spesso sconfinavano nella prosa. Tra i tanti colleghi giornalisti che pubblicano libri spesso inutili e mal scritti stupisce che Carlo non abbia mai messo da parte la cronaca sportiva per dedicarsi alla scrittura e raccontarci un suo mondo che potevi forse intuire, ma che difficilmente esprimeva perché ne era custode geloso.

E questo e non altro erano i suoi sorrisi a metà: affettuosi e riservati allo stesso tempo. Dalla scrittura di Carlo ho cercato di rubare quello che potevo, lo dico senza remore proprio perché era un esempio. Soprattutto per un giovane giornalista agli esordi, che come lui era ed è appassionato di mare.

Ricordo un suo pezzo memorabile di molti anni fa, rimasto per me un vero esempio di scrittura giornalistica. Fu quando raccontò su Repubblica l’avventura umana e marinara di un grande della vela, oggi scomparso, anch’egli nel suo campo un maestro insuperato. Era un articolo su Bernard Moitessier, il navigatore francese giramondo solitario capace di cavalcare le onde di tutti gli oceani, che ha ispirato tutti i grandi velisti dell’avventura del nostro tempo, nessuno escluso: la pagina intera di Repubblica era diventata come la tavolozza del pittore, un affresco delicato e affettuoso, ironico senza pudori, quasi sfottente, perché era chiaro che Carlo ammirava il personaggio e lo amava per quello che rappresentava. E con quella sua ironia si perdonava forse, come tutti noi, di non avere avuto lo stesso coraggio di Moitessier di navigare il mare dell’avventura, limitandosi a raccontarlo. Come meglio non si poteva.
Del resto, lo diceva proprio Moitessier, nella vita si può avere una sola passione.

Ciao, Carlo.

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