Oltre 100 balenottere sono finite sulla spiaggia di Puponga, a nord della città di Nelson, nell’isola meridionale della Nuova Zelanda. Per giorni e giorni gli ambientalisti e la popolazione locale le hanno curate prima di riuscire a restituirle al mare. Il fenomeno, che si ripete spesso nei mari australi, non ha ancora una spiegazione plausibile.
Ma non parliamo di suicidio, per favore, dicono gli animalisti.
L’ultima volta fu nel gennaio del 2003, quando ben 159 balenottere finirono spiaggiate nei pressi di Stewarth Island, sempre nella più meridionale delle due isole che compongono la Nuova Zelanda. Ma lo spiaggiamento più spettacolare fu nel 1918, lungo le spiagge delle isole Chathaman, quando oltre 1000 balene finirono a terra in queste isole che distano circa 800 chilometri al largo della terra madre. Fu una strage. Oggi le balene approdate a Puponga Beach hanno fortunatamente ripreso il mare, spinte in acqua dagli ambientalisti e dalla popolazione, che per giorni le ha curate e accudite, innaffiandole continuamente d’acqua perchè la pelle non si seccasse e perchè potessero prendere una boccata… d’ossigeno.
Almeno 15 balene hanno però tentato più volte di risalire in spiaggia, forse perchè spaventate dall’avventura passata in mare, al punto che la gente ha dovuto formare una barriera umana sul bagnasciuga per costringerle a riprendere il largo. Spiaggiamenti di questo tipo sono purtroppo frequenti nei mari australi e non solo in Nuova Zelanda, ma anche nella vicina Australia. Per spiegarli sono state avanzate le ipotesi più disparate, compresa quella forse fin troppo morbosa del suicidio di massa, che a dire il vero appare piuttosto una traslazione psicologica di uno stato mentale dell’uomo,piuttosto che una spiegazione soddisfacente. Gli scienziati in realtà semplicemente non riescono a dare una spiegazione a questi eventi, che potrebbero avere le motivazioni più disparate, non ultima quella di un errore di rotta delle balene, distratte da una configurazione costiera o del fondo marino capace di disorientarle. Questaè almeno l’ipotesi avanzata da Simon Walls, il ranger neozelandese che ha curato l’emergenza di Puponga Beach, secondo il quale il ripetersi del fenomeno in quella zona sarebbe dovuto proprio al particolare
configurarsi della costa, che disorienta le balene, ingannandole fino al punto da finire fuori dall’acqua.