Scompare Agostino Straulino, velista simbolo dellamarineria italiana. Porta con sè un palmares da primato: otto titolieuropei consecutivi nella classe “Star” (dal 1949 al1956) due mondiali (1952 e 1953). Quindi l’oro olimpico di Helsinki che completa un 1952 fantastico, in cui conquista il titolo italiano, quello europeo e quello mondiale.
Poi un altro mondiale nel 1956 e quindi l’argento neiGiochi di Melbourne. Quarto nelle Olimpiadi del 1960 a Roma, nelle acquedel Golfo di Napoli. Merope era la sua inseparabile barca della classe“ Star”, la “Stella”. E un’infinità di altri titoli mondiali su altre classie in altre regate d’altura, a cominciare dalla One TonCup di Porto Cervo, nel 73, al timone di Ydra: tecnicae moderna come una Coppa America.
Aveva compiuto la bella età di 90 anni il 10 ottobre scorso e da 20 giorni era ricoverato in un letto dell’ospedale militare del Celio, a Roma. Eppure, poco più di due anni fa, aveva vinto la sua ultima regata, al timone del “Sagittario”, una delle molte affascinanti barche che la Marina custodisce con cura e memoria della loro storia. Al largo del Golfo di Napoli, che conosceva come le sue tasche e che amava per il suo vento e per il suo scenario naturale, aveva portato alla vittoria un gruppetto di arzilli membri d’equipaggio, dei signori dall’età media di 74 primavere. Chi lo ha conosciuto bene sa che questo straordinario marinaio ha avuto la vittoria sempre davanti agli occhi, che spingeva i suoi obiettivi sempre un palmo più in là. E li raggiungeva. Ancora recentemente gli bruciava una squalifica subita nei Giochi del ‘48, quando lo privarono di una vittoria certa per aver ceduto il timone al suo prodiere – e non era il fido Nicol? Rode per una volta- perché si era ferito ad una mano. Giusto il tempo di tamponare il sangue che macchiava tutta la Star e di afferrare il timone con l’altra mano. Ma lo squalificarono. Ricordava l’ episodio in una bella intervista di un paio d’anni fa; e nelle sue parole c’era ancora tutta l’indignazione per quello che riteneva un torto subito.
Era nato a Lussino, nell’Italia divenuta poi Jugoslavia e, quindi, Croazia. L’Adriatico è stato il suo mare d’iniziazione, la sua palestra, il paradiso scoperto appena conclusi gli studi dell’istituto Nautico. «Ho avuto la fortuna di un padre che mi ha lasciato libero di scegliere di vivere la mia giovinezza in libertà prima di avventurarmi per la vita», spieg? una volta in un’altra delle tante interviste rilasciate: «mi accord? due anni di tempo e tutto l’occorrente per cavarmela, compresa una casetta in riva al mare ed una barca per veleggiare», la stessa con cui negli anni degli studi raggiungeva puntuale la scuola ogni giorno, sole o pioggia che vi fosse. Cominci? cos? ad esplorare il Golfo del Guarnaro in lungo e in largo, veleggiando tra quel paradiso di isole che è la Croazia, allora Dalmazia, pescando e facendo una vita assolutamente entusiasmante, piena di libertà. «Generalmente», spiegava con quel suo modo che non era nemmeno umile, ma naturale, scontato, di chi parla delle cose come se fossero semplicemente logiche, «quelli che hanno avuto la possibilità di avere in gioventù il contatto con il mare, sono portati ad avere buoni risultati anche nella vela agonistica. Certo», aggiungeva, «anche chi comincia tardi, dopo i vent’anni, diciamo, pu? avere buoni risultati, ma… gli mancherà sempre qualche cosa: gli mancheranno la giovinezza, l’aver avuto dei buoni consigli da assimilare, l’aver imparato a conoscere la barca, a entirla».
In questo ricorda un altro grande vecchio della vela di sempre, Bernard Moitessier, il francese dei giri del mondo in solitario, anch’egli cresciuto sul mare, con una barchetta a vela per andare a scuola ogni mattina, nella natia Indocina. Ma Moitessier, scomparso dieci anni fa, dal mare annusava l’odore della terra e se ne teneva lontano, Tino Straulino dal mare tornava sempre a terra per festeggiare con i compagni, per stringere mani ed amicizie, come quella con Nicol? Rode, il compagno di tante avventure, sempre a prua della mitica Merope, la “Stella” olimpionica e mondiale. Nel’ 65 aveva già assunto il comando della Amerigo Vespucci, la storica nave a vela della Marina, ma fece in tempo a vincere un incredibile mondiale dei 5,5 metri Stazza Internazionale, la classe antesignana di “Azzurra”, a Napoli, proprio mentre la nave era ormeggiata in porto, con l’intero equipaggio affacciato dai ponti a festeggiare. Usciva in mare di notte per allenarsi a sentire il vento, a perfezionare la bolina, l’andatura che risale il vento, per stringere il più possibile, senza rischiare di fermare la barca: una vela d’altri tempi, con il vento da sentire sulla pelle, che non conosceva i marchingegni elettronici di oggi.
«Possedeva una sensibilità staordinaria, innata, qualcosa che non si impara da nessuna parte», ricorda il comandante Angelo Lattarulo, capo della sezione vela della Marina, come Straulino comandante della Vespucci: «era capace di muoversi come un gatto sulla piccola Star, di timonarla in fil di vento e, quindi, di comandare con assoluta naturalezza un veliero come l’Amerigo Vespucci, una nave lunga 106 metri, di oltre 400 persone di equipaggio e una cattedrale di vele, che riusciva a far camminare come nessuno». Come quella volta, correva l’anno 1964, che la Vespucci partecipava in Norvegia alla “Tall Ship Race”, una regata per veterane del mare della taglia e delle dimensioni della Vespucci. Non era propriamente una giornata di mare calmo e di brezza mediterranea e le barche veleggiavano senza rischiare troppo, in andatura conservativa, diciamo.
L’ammiraglia italiana è forse la più bella nave a vela in circolazione, uno spettacolo a vedersi, ammirato in tutto il mondo, ma in quanto a velocità, proprio per la sua enorme stazza, non è esattamente quel che si dice un fulmine di guerra. E cos? la più piccola ed agile nave della Marina norvegese pian piano se la mette dietro e si allontana. «Straulino proprio non ci sta» racconta
ancora il comandante Lattarulo, «e ordina all’equipaggio di mettere a riva tutte le vele, di alzare l’intera velatura in quella che si chiama “forza di vele” ». E cos? pian piano è questa volta la Vespucci a risalire il distacco e a distanziare nel mare difficile la nave norvegese. E’ per? nella nostrana Taranto che ancora tutti stropicciano gli occhi. E’ quando l’ammiraglio decide di passare a vela il ponte che separa la darsena del porto della città dal mare aperto… Dentro un imbuto veleggiando leggiadro con un gigante come la Vespucci tra le mani, lasciando dieci centimetri per fianco alle banchine, nemmeno maneggiasse un giocattolo, una piccola deriva.
Era questo l’Ammiraglio Straulino, il simbolo della marineria italiana. Un uomo che interpretava la vita ed il mare con eleganza. Un uomo d’altri tempi.